L’adolescente solitamente evita il linguaggio diretto e chiaro con gli adulti, in particolar modo con i genitori. Questo fa parte di una serie di comportamenti atti a proteggere la sua sfera privata che mai come in questa fase della vita viene protetta gelosamente.
Questo non vuol dire però che non comunichi, né tantomeno che non voglia essere ascoltato. Bisogna saper leggere nel suo comportamento quei segnali indiretti con i quali sta cercando di essere visto dal genitore.
L’adolescente ha bisogno di sentire di venire capito senza bisogno di chiedere esplicitamente aiuto, sta cercando di emanciparsi dalla dipendenza infantile e avviarsi verso la propria soggettivazione (Cahn 1998; 2010) e per questo chiedere direttamente aiuto non è accettabile, ma al contempo non avendo ancora gli strumenti per cavarsela da solo ha bisogno a livello inconscio della sicurezza che il genitore lo capisca e possa fargli da rete di sicurezza come un trapezista sulla fune.
Gli strumenti attraverso i quali questa richiesta silenziosa avviene sono:
– L’aggressività
– La regressione o infantilizzazione
– Il corpo
– L’ambito scolastico
Aggressività:
Un aumento di suscettibilità ed irascibilità sono tipici segnali di disagio in questa fase. Si rifiutano di collaborare e rigettano le indicazioni dei genitori, i litigi e le scenate diventano frequenti col risultato di avere un clima familiare teso.
I genitori si sentono odiati senza capire il perché, ma in realtà stanno solo assistendo ad una dimostrazione senza filtri del disagio dei loro figli che non è necessariamente né diretto né causato da loro.
Regressione:
Se l’aggressività è un tentativo forte e rozzo di emanciparsi la regressione è all’opposto un tentativo di restare bambini e non affrontare le nuove sfide evolutive dell’età. In questo caso emergono atteggiamenti infantili e regressivi che puntano a stimolare accudimento nel genitore. Ad esempio: crisi di pianto improvvise, richieste di aiuto continue per fare cose di cui sarebbero capaci e in generale tutti quei comportamenti che ricalcano quelli di un bambino.
Il corpo:
Il corpo è indubbiamente al centro dell’adolescenza, per questo è facile che sia un potente strumento per trasmettere messaggi importanti. Si può manifestare una tendenza a somatizzare (esprimere attraverso il corpo), con la comparsa di bolle o pruriti nei momenti di tensione, con disturbi del sonno o difficoltà a riposare adeguatamente, con alterazioni del rapporto con il cibo che vanno dal digiuno prolungato alle abbuffate di nascosto, infine dolori frequenti come mal di testa o mal di stomaco e molto altro.
La cura del corpo è un buon indicatore: l’attenzione al proprio aspetto fisico ed estetico si intensifica in adolescenza quindi trascuratezza o completo disinteresse per il proprio aspetto e scarsa igiene personale evidente possono essere segnali importanti.
La scuola:
Un rapido calo del rendimento scolastico può essere un altro modo indiretto per attirare l’attenzione su un disagio che non è necessariamente legato alla classe o ai professori, ma può solo essere una richiesta di sentirsi visto nella propria sofferenza.
Tutti questi segnali possono essere normali segni del fatto che c’è un elemento di stress che faticano a gestire e che stanno cercando di affrontarlo. Quando questi tendono a durare nel tempo e a interferire con la sfera sociale, familiare o scolastica è importante non sottovalutare la cosa ritenendola “una fase” che “tanto poi gli passerà”.
Altrimenti si permetterà soltanto ad un problema psicologico di radicarsi nell’adolescente anziché stroncarlo sul nascere. Per questo è consigliabile valutare un percorso di psicoterapia con un professionista specializzato.
Cosa può fare un genitore?
Il ragazzo sofferente ha bisogno di sentirsi riconosciuto, visto, ma non intruso nelle sue difficoltà. Il genitore intimorito da una situazione in cui è difficile entrare può reagire sminuendo il problema. L’adolescente non sentendo che i propri sentimenti vengono riconosciuti tenderà a richiudersi in sé stesso pensando di essere solo ad affrontare la sua situazione.
Bisogna cercare di entrare in empatia con il ragazzo anche quando il suo atteggiamento ci porterebbe ad arrabbiarci. Questo ci permetterà di capire il suo punto di vista, di essere per lui una base emotiva sicura che lo sappia sostenere e un esempio di come anche le emozioni più forti possano essere gestite positivamente.
Quando ci troviamo difronte ad una difficoltà a comunicare, invece che insistere possiamo iniziare noi, parlandogli delle nostre emozioni. Questo farà si che anche la sofferenza diventi qualcosa di affrontabile assieme.
Questo ovviamente avendo cura di misurare ciò che condividiamo e di non gravare l’adolescente delle nostre ansie adulte. Si può mostrare di essere attenti, ma non invadenti dando supporto senza invadere l’intimità che l’adolescente difende con cura.
Il dialogo aperto è sicuramente una delle chiavi uno per il benessere dell’adolescente. Lo fa sentire capito, contenuto e riconosciuto. In questo modo si sentirà di poter usare il genitore come esempio e supporto.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma
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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Il disagio in adolescenza: come accorgersi di una richiesta di aiuto”:
Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.
Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35, Roma, Magi, 2010.