I più recenti studi di settore mostrano come il 7% degli Italiani di età compresa tra i 10 e i 25 anni, dedichi ai videogiochi più di 8 ore al giorno.
Giocare di per sé non ha nulla di patologico anzi può rivelarsi molto utile, come dimostrato da pionieri come Donald Winnicott (Winnicott, 1974), questo vale anche per quelli digitali.
L’uso di videogiochi stimola la coordinazione oculomotoria e la percezione, aiuta a migliorare l’attenzione prolungata e la memoria e sviluppa la capacità di prendere rapidamente decisioni.
Se passare del tempo sulle console non è sufficiente per individuare un problema psicologico allora cosa intendiamo con dipendenza da videogiochi?
Si tratta di un uso compulsivo dei videogiochi che arriva a interferire con la vita quotidiana del giocatore.
Al momento la dipendenza da videogiochi è una patologia ancora in via di studio e non ufficialmente codificata. Tra i possibili criteri diagnostici che si stanno valutando troviamo:
-Mancanza di altri interessi.
-Mentire sulle ore di gioco.
-Calo del rendimento scolastico o lavorativo.
I sintomi sarebbero invece:
-Stanchezza legata alla deprivazione di sonno volontaria per giocare la notte.
-Isolamento sociale per dedicare tutto il tempo libero ai videogiochi.
-Crisi di rabbia e irritabilità quando si perde una partita.
Questi devono essere considerati campanelli d’allarme che potrebbero segnalare una situazione di rischio. Il genitore che li dovesse riscontrare può rivolgersi a uno professionista specializzato per far valutare l’eventuale necessità di un intervento psicologico.
Bibliografia:
Winnicott D. W. (1971). Gioco e realtà. Roma, Armando, 1974.