Le dipendenze da sostanze e da gioco d’azzardo sono state affiancate negli ultimi anni da una serie di nuove dipendenze legate al ritmo frenetico delle nostre vite. Molti di noi si trovano a fare più di un lavoro o comunque a lavorare ben più delle 8 ore canoniche.
Viviamo in una società che ci sta addestrando a compensare desiderando sempre più stimoli intensi in rapida successione. Molti di noi, senza neanche accorgersene, si ritrovano a:
-Tirare fuori il cellulare di tasca ogni secondo.
-Guardare sempre più puntate di fila su Netflix.
-Andare in palestra compulsivamente.
-Riempirci di impegni di lavoro senza fermarci mai.
-Giocare alla Playstation o al computer fino a tardi.
-Fare shopping on-line di continuo.
Tutti questi sono comportamenti iniziati per piacere, ma che poi hanno iniziato a rubare, un poco alla volta, sempre più tempo alle nostre vite: benvenuti nelle nuove dipendenze.
Cosa c’è dietro a una dipendenza?
Quando ci troviamo a sviluppare una dipendenza, non importa quale, dobbiamo sempre pensare a quale grande insoddisfazione vada ad anestetizzare. Quando cerchiamo di riempire una profonda mancanza con elementi esterni riusciamo temporaneamente a sfuggire al vuoto interiore.
L’effetto però svanisce presto e il malessere si riaffaccia in noi ed ecco che ne vogliamo ancora un altro po’ e un altro po’ finché non diventa un bisogno. La scarica di endorfine che riceviamo ci dà quel piacere che sembra annullare per un attimo tutto il male, ma in realtà ci porta per mano nel circolo vizioso della dipendenza.
Gli elementi esterni
Questi elementi esterni ai quali ci aggrappiamo per tollerare l’esistenza non devono essere per forza sostanze d’abuso come alcool o droghe illegali. Anzi le nuove dipendenze raramente s’incentrano su queste, le inglobano magari: la birra o il vino guardando Netflix la sera, la canna giocando al computer, la striscia di cocaina per essere più performanti a lavoro e così via.
Le nuove dipendenze hanno come caratteristica comune quella di girare intorno a cose socialmente accettabili. Abitudini quotidiane di cui si parla tranquillamente con amici e colleghi: fare shopping, un trend sui social, fare un aperitivo o andare in palestra. Attività che se prese singolarmente sono innocue, il problema sorge quando si entra nell’eccesso.
Queste attività a livello neurobiologico portano a un rilascio di dopamina nel cervello in maniera simile, anche se spesso più contenuta, alle sostanze psicoattive che porta ad uno stato temporaneo di euforia.
La predisposizione alla dipendenza
Alcuni di noi hanno una vera e propria predisposizione alla dipendenza che può dipendere da un mix di fattori genetici e psicosociali come:
-Una storia di dipendenza in famiglia: da piccoli apprendiamo i modelli comportamentali che abbiamo visto nei nostri genitori. Se anche solo un genitore ricorre a elementi esterni come risposta allo stress c’è la possibilità che anche noi apprendiamo quella strategia di coping disadattiva.
-Uso di sostanze in gravidanza: le sostanze psicoattive in circolo arrivano al feto e possono portare a malformazioni o ad una dipendenza dalla stessa sostanza alla nascita.
-Ambiente e modelli culturali.
Se siamo predisposti alla dipendenza, quando ci troveremo ad affrontare un disagio emotivo come la solitudine, la noia o lo stress cronico tenderemo a renderlo tollerabile riempiendo il nostro tempo di: lavoro, acquisti, palestra, social… etc.
Pattern “invisibili”
Queste dipendenze seguono dei pattern mentali che esitano in modelli comportamentali dei quali spesso non ci accorgiamo, ma che vengono notati da chi ci sta vicino.
Potrà capitarci che qualcuno dei nostri amici provi a farci notare che stiamo cambiando, ma probabilmente tenderemo a negare, minimizzare o sentirci sotto attacco. Questo sarà possibile finché la cosa non inizierà a intaccare la nostra vita sociale, lavorativa o affettiva.
Con le sostanze d’abuso o il gioco d’azzardo è più facile che questo avvenga portandoci forzatamente alla presa di coscienza. Le nuove dipendenze invece possono farci restare in questo idillio in cui non ne riconosciamo l’esistenza.
I segnali che possono svelare la dipendenza nascosta possono essere:
-Incapacità di portare a termine o rispettare gli impegni: le nuove dipendenze si accompagnano spesso ad un’ansia di fare molte cose in poco tempo e/o alla FOMO (fear of missing out), entrambi elementi che ci portano a perdere interesse facilmente e a desiderare stimoli nuovi con il risultato di rendere più difficile concentrarsi sugli impegni presi.
-Difficoltà a trovare il limite: quando gli elementi esterni sono socialmente accettatabili, ci risulta più difficile decidere di mettere un freno a qualcosa che ci dà piacere e sollievo.
-Bugie articolate: non sarebbe una dipendenza senza le bugie per coprirla. Pur di non cambiare si mentiamo agli altri e a noi stessi rifiutandoci di riconoscere di aver perso il controllo sull’oggetto di abuso. Le menzogne riguardano solitamente le motivazioni e/o il tempo che dedichiamo a un’attività, per metterci al sicuro da critiche che ci obbligherebbero a farci i conti.
-Visione di se stessi alterata: se non accettiamo di avere un problema, non saremo neanche in grado di accogliere una critica. Ci troveremo a reagirvi spazientendoci facilmente o ritenendoci offesi da come gli altri ci vedono.
-Noia perenne: sentiamo un senso d’insoddisfazione costante. Niente ci allevia le fatiche di una lunga giornata o ci riempie il vuoto come l’attività compulsiva d’elezione.
-Bisogno di adrenalina: alcuni di noi possono trovarsi ad aver bisogno di persone energetiche che offrono forti emozioni e relazioni passeggere. Al contrario le persone calme e organizzate sono fastidiose perché sono lo specchio in cui si riflette per contrasto il caos delle nostre vite.
-Ricerca dell’eccesso: questa può oscillare tra il non dire mai di no a un altro drink, un dolce in più, un’altra puntata fino a ricercare sempre il modo di lavorare di più, spendere di più, mangiare di più, bere di più, giocare di più.
Chi non è incline alla dipendenza, fatica a capire questa schiavitù, questa gabbia dorata ed è facile che si metta a giudicare con malcelata superiorità. Questo non fa altro che far sentire chi di noi soffre di dipendenze ancora peggio. Banalizzare dicendo “ma non puoi smetterla con x, perché non y di meno? Se vuoi, puoi” non solo non aiuta, ma è umiliante.
Pensare che chi convive con una dipendenza lo faccia perché non gli va di o non gli piacerebbe liberarsene è una comune ipersemplificazione basata sul pregiudizio. Il dipendente non è un peccatore, è uno di noi che ha scelto la via a portata di mano, o che gli è stata insegnata, per alleviare le sue sofferenze e riempire un vuoto esistenziale.
La parabola della dipendenza:
Ogni dipendenza segue delle fasi:
-La luna di miele: all’inizio, indulgiamo nel comportamento di dipendenza perché ci dona piacere, ma soprattutto sollievo. Gli effetti negativi ancora non si sono mostrati e la strategia ci sembra vincente da un punto di vista di economia mentale costi/benefici.
-Il piacere negativo: stiamo perdendo il gusto nel fare la cosa. Il piacere dura sempre di meno e inizia ad affacciarsi il bisogno di farlo comunque.
-La piena dipendenza: il piacere è quasi sparito in favore dell’uso anestetico che facciamo dell’oggetto di dipendenza. Non riusciamo a smettere e neanche a diminuire a lungo, anche se ci sentiamo male.
-Le conseguenze: iniziamo a notare come la nostra vita sociale, lavorativa o affettiva sia peggiorata a causa della dipendenza. Qui la strada si biforca: alcuni di noi entreranno in uno stato di negazione dando la colpa a cause esterne e proteggendo la dipendenza. Altri, una volta riconosciuto il problema, decideranno di prendersi la responsabilità della propria felicità e chiederanno aiuto a un professionista specializzato.
Cercare di curarsi da soli è rischioso, la dipendenza è un compagno di viaggio che non molla la presa. Il rischio è di provare e ricadere nella stessa dipendenza perdendo fiducia nella propria forza interiore.
Un percorso di psicoterapia ci permetterà di scoprire qual è la mancanza originaria che ci ha spinto a trovare questa strategia disadattiva per riempirla. Il passo successivo sarà trovare nuova soddisfazione in fattori interni anziché esterni per riprendere il nostro percorso di soggettivazione (Cahn, 1998; 2010).
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)
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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Le nuove dipendenze: il piacere che viene dall’esterno”:
Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.
Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35, Roma, Magi, 2010.