Stereotipi e pregiudizi sugli psicologi: cosa c’è di vero?

Come psicologi, spesso sentiamo colleghi che si lamentano dei molti pregiudizi sulla nostra categoria e di come impediscano a tanti di chiedere aiuto a uno psicologo.

La reazione istintiva da parte di molti psicologi è di cercare di fare chiarezza e combattere il pregiudizio con campagne di sensibilizzazione e contenuti informativi sui social. Senza tenere conto di che messaggio si dà alla gente.

Fare opera di convincimento può essere preso come un’accusa. Una persona che ha dei dubbi può sentirsi accusato di essere ingenuo e di avere completamente torto perché non si vuole rivolgere a uno psicologo. A nessuno piace sentirsi dire che sta sbagliando, forse non è l’approccio giusto.

Usciamo dalla logica giusto/sbagliato e proviamo ad andare a vedere quali sono i processi mentali individuali che prendono forma in questi “pregiudizi”.

Ci sono pregiudizi su ogni professione (il muratore rude e verace, l’idraulico che non si trova mai quando serve, il politico avido e corrotto…etc.). Come psicologi sappiamo che ogni stereotipo nasconde una piccola verità e serve a proteggerci dalle nostre paure.

Proviamo allora a capire cosa c’è di vero e da cosa potrebbe proteggerci ogni pregiudizio verso gli psicologi.

 

-Perché dovrei andare dallo psicologo? Mica sono matto!

Il folle viene immaginato come una minaccia, qualcuno di imprevedibile e quindi potenzialmente pericoloso. I folli sono vittima di un grande stigma sociale per cui vengono percepiti come tutti uguali, una minaccia da allontanare. Mentre quello che veramente si vuole allontanare da sé è l’idea di follia, o meglio la possibilità di essere noi stessi folli o non-normali.

Se noi non vogliamo andare dallo psicologo perché solo i matti ci vanno, forse abbiamo paura che andando dallo psicologo potremmo scoprire di essere un po’ “matti” o strani anche noi e allora forse ci sentiremmo dei diversi o sbagliati e questa è una sensazione terribile che chiunque vuole evitare e forse qualcuno per evitarla, evita di andare dallo psicologo.

 

-Gli psicologi sono più matti dei pazienti.

Il soggetto è diverso dal precedente, ma la paura che alimenta questa idea è la stessa.

Fortunatamente anche gli psicologi sono umani, con le loro paure, desideri, pregi e difetti e come tutti hanno le loro particolarità che li rendono unici. Ognuno di noi ha scelto questa professione per un motivo, spesso legato alla propria storia personale. Lo stesso si può dire per qualsiasi professione.

Quello che sarebbe interessante domandarci è se, in fondo, ci spaventa o ci rassicura che la persona che stiamo valutando, nella sua qualità di psicologo, sia vulnerabile alla sofferenza, come tutti gli altri.

 

-Ce la faccio da solo, sono i deboli che vanno dallo psicologo.

Questo è molto vero, anche se non nel senso spregiativo con cui alcuni lo intendono. Chi va dallo psicologo è perché sente di non farcela ad affrontare da solo quello che sta passando. Chi ha la forza di farcela da sé non ne ha bisogno.

Andare in terapia vuol dire affrontare la propria sofferenza. A un certo livello tutti abbiamo paura della sofferenza, ma anche che fare i conti con le nostre fragilità possa farci considerare o sentire dei deboli.

Se ci riflettiamo sofferenza e dolore sono parte della vita di chiunque come la gioia. Può darsi che guadare alle nostre debolezze e fragilità ci faccia pensare a quella parte della vita che ci spaventa come la morte, la malattia o i fallimenti prima della meta.

La società dell’apparire (Di Gioacchino et al., 2017) in cui viviamo rende ancora più difficile qualcosa che di base non è facile: confrontarsi con le proprie difficoltà e riuscire a riconoscersele.

 

-Lo psicologo ti manipola la mente.

In effetti è proprio così. A che serve uno psicologo se non è in grado di rimetterci a posto la testa? La presenza dello psicologo, ad un certo livello, produce dei cambiamenti nella mente del paziente. La psicoterapia modifica il funzionamento della mente ed è per questo che la si paga.

Psicologo a parte, le interazioni con tutte le persone significative della nostra vita manipolano e influenzano il nostro modo di pensare e di rapportarci. Si pensi ai nostri genitori o agli insegnanti che ci hanno educato ad esempio o il partner con cui siamo andati a convivere. Ogni volta che parliamo con qualcuno, o che qualcuno ci pensa, non manipoliamo, in qualche modo, la sua mente?

Watzlawick ha teorizzato che gli individui siano costantemente e reciprocamente influenzati ed è impossibile evitare di esercitare o “subire” tale influenza (Watzlawick P. et al., 1967). Il rapporto paziente-psicologo non fa eccezione. Questo può essere veramente trasformativo anche più di quanto a volte accade in altre relazioni importanti.

Avere paura che lo psicologo manipoli la nostra mente potrebbe allora avere a che fare con la paura di perdere il controllo della nostra vita, anche questa è una sensazione che è comprensibile voler tenere lontana da sé.

 

-I problemi concreti non si risolvono a parole.

Certamente, quando mai un problema si è risolto solo con quattro chiacchiere una volta a settimana? Le parole non possono far tornare insieme una coppia, far superare un lutto o annullare un licenziamento.

Forse però attraverso le parole si possono imparare a riconoscere e capire alcuni schemi che si ripetono, ad esempio:

• tutte le storie finiscono alla stessa maniera.

• in tutti i posti di lavoro ci sono sempre gli stessi problemi.

• tutte le separazioni fanno soffrire terribilmente.

Riflettere sul motivo per cui ci sentiamo di “capitare” sempre nelle stesse situazioni, non è sicuramente piacevole. Può darsi che a volte preferiamo lamentarci dei problemi invece che provare a capirci qualcosa con tutta la fatica che comporta.

 

-Gli psicologi fanno i soldi sulle sofferenze della gente.

Quanto ha approfittato della nostra gamba rotta il medico che l’ha ingessata? Quanto ha approfittato dell’incidente stradale l’avvocato che abbiamo strapagato per ottenere il risarcimento danni che ci spettava?

Sicuramente è vero che gli psicologi lavorano con persone che stanno affrontano delle difficoltà e ci fanno un guadagno, ma al contempo sono al servizio di quelle persone, e vengono retribuiti per il servizio che offrono. Questa sfumatura è importante perché li distingue dalla persona cara con cui ci confidiamo.

La retribuzione dello psicologo non è altro che una misura del valore dello spazio e del tempo, sia fisico che mentale, che offre e dedica al paziente. Il guadagno in denaro non è il solo tornaconto per gli psicologi: c’è anche quello di guadagnare conoscenza dalle sofferenze altrui, perché gli psicologi imparano moltissimo dai loro pazienti in quanto sono loro a renderli professionisti migliori.

 

-Tanto mi basta parlarne con amici e parenti.

Le persone che ci stanno vicine sono indubbiamente una risorsa fondamentale per il nostro benessere mentale e fisico, ma spesso i parenti sono pieni di aspettative, a volte ci fanno sentire in colpa, oppure non riescono a darci supporto come vorremmo. Ovviamente nulla viene fatto con malizia, ci vogliono bene e fanno del loro meglio per sostenerci in quello che credono sia il modo giusto per noi.

Una buona rete sociale vale più di mille sedute. Però vale la pena domandarsi come mai il codice deontologico degli psicologi gli vieti di lavorare con amici e parenti. Il motivo è che un legame stretto impedisce agli psicologi quel “sano grado di distacco” e di poter avere un punto di vista “esterno” sulle problematiche del paziente.

Si creerebbe una sorta di “conflitto di interessi” nello psicologo tra quelli personali e quelli professionali. Lo psicologo lavora sulla realtà come è percepita dal paziente.

• Dal punto di vista dello psicologo, se conoscesse le persone reali di cui il paziente gli parla non potrebbe lavorare sulle rappresentazioni di esse che esistono nella mente del paziente e animano il suo mondo interiore.

• Dal punto di vista del paziente invece sarebbe impossibile aprirsi completamente per il timore che rivelare pensieri che magari lo imbarazzano potrebbe avere ripercussioni sul rapporto personale che si ha al di fuori della psicoterapia.

Questo può forse chiarire perché lo psicologo, che è al di fuori del mio mondo personale, mi può aiutare in una maniera che sarebbe impossibile per parenti o amici.

Detto ciò, ammettere di non poter sempre fare affidamento sulle persone che ci amano non è una bella sensazione e forse ci capita ogni tanto di pensare di poterci aggrappare a loro, credere che siano perfetti e che potranno sempre soddisfare i nostri bisogni, ma per fortuna non sono la sola risorsa a nostra disposizione. Abbiamo molte possibilità in più.

 

-Chi non ha passato quello che ho passato io non lo può capire.

È così, molto spesso persino capire il proprio dolore è complicato. In certi momenti difficili ci sentiamo di essere soli con il nostro dolore. Per un periodo è giusto che sia così, ma siamo sempre in relazione e cambiamo come siamo cambiati dagli altri. A volte però non riusciamo ad accettare queste verità e il senso di solitudine e di isolamento ha la meglio ampliando la sofferenza.

In questi casi lo psicologo ci può aiutare a metterci faccia a faccia con il fatto che se affrontiamo insieme a qualcuno questa confusione, forse riusciremo a vedere il tutto da un’altra prospettiva e superare il dolore.

 

-Tanto è inutile, io sono fatto così e non sarà uno psicologo a cambiarmi.

Siamo fatti così è vero, ma è anche vero che le cellule del nostro corpo cambiano e si rigenerano freneticamente per mantenerci vivi e in salute. I sistemi sociali, anche se non così velocemente, non possono fare a meno di essere in costante cambiamento. In una certa misura noi siamo allo stesso tempo in continua trasformazione, ma anche siamo ciò che siamo e non potremo mai essere qualcosa di diverso.

Come abbiamo visto, ci possono essere delle contraddizioni che sono solo apparenti. Allora quando diciamo: “Io sono fatto così” forse stiamo dicendo anche “io ho dei limiti”. Questo fa di noi degli esseri umani, ma riuscire a riconoscere di avere dei limiti è proprio il punto di partenza per cambiare, restando nei propri limiti, senza diventare altro.

Sentire di continuare a essere se stessi anche quando si cambia, ci protegge da quei cambiamenti che abbiamo paura possano stravolgerci la vita o la nostra identità.

Il cambiamento arriva quando è il momento giusto per noi, e ogni tanto è difficile capire cosa lo abbia determinato, ma di certo non sarà un singolo elemento a essere responsabile per il cambiamento (lo psicologo), ma un insieme di circostanze esterne e fattori personali che assieme lo renderanno possibile.

 

-Andare dallo psicologo costa troppo.

Abbiamo finalmente trovato il coraggio e abbiamo preso contatto con uno psicologo, non appena ci dice il costo di una seduta, indipendentemente da quale sia, ci ritiriamo dicendo che costa troppo. Cosa è successo? Una finestra che stavamo per aprire si è chiusa.

Le nostre possibilità economiche sono un dato di realtà, però potremmo chiederci:

quanto mi costa l’abbonamento alla palestra? Quanto spendo ogni volta che vado dal nutrizionista? O ancora meglio potremmo pensare a quale bisogno rispondano queste spese.

In entrambi i casi nessuno metterebbe in dubbio che stiamo investendo sul nostro benessere. Se queste sono ottime idee per investire sulla nostra salute fisica perché non dovrebbe esserlo investire sulla propria felicità, curandosi della propria salute mentale e andando ad affrontare e superare ciò che ci fa soffrire?

Forse è più facile investire per qualcosa che non ha bisogno di essere spiegata, per la quale non sentiamo di doverci giustificare o in imbarazzo.

 

-Se vai dallo psicologo poi ci devi andare per anni e anni.

Partiamo da “ci devi andare”: se abbiamo paura che lo psicologo ci forzerà a fare qualcosa che non vogliamo o per più tempo di quanto vogliamo, potremmo avere timore di vederci come malati, sbagliati o diversi. Vivere con la paura come compagna di viaggio possiamo concordare che non sia una bella prospettiva.

Passiamo al “per anni”: in effetti è possibile, la durata della terapia dipende da molti fattori uno di questi è l’approccio terapeutico seguito dallo psicologo, ma il principale è quello che io chiamo “il tempo del paziente”.

La stessa problematica può richiedere tempi diversi a due pazienti a seconda di quanto tempo ha avuto la problematica per mettere radici nella persona e diventare parte della sua vita.

Quindi sì, alcuni percorsi di terapia possono durare anche degli anni ed è perfettamente comprensibile che non tutti abbiamo voglia di prenderci un impegno a lungo termine o che preferiamo dirci che i nostri problemi sono cose sciocche o comuni rispetto ai problemi “veri”.

D’altronde a volte è più facile essere generosi e attenti con gli altri che con se stessi. Ecco che siamo pronti a dare attenzione ai problemi degli altri, ma facciamo fatica riconoscere e legittimare i nostri, perché significherebbe sì volersi bene, ma anche cercare di fare il possibile per cambiare, nel rispetto di quello che si è, e questo è difficile.

Ci tengo a chiarire una cosa: in questo articolo viene usato il termine psicologo per indicare, in alcuni punti, il lavoro dello psicoterapeuta. Non voglio creare confusione: psicologo e psicoterapeuta sono professionalità diverse e offrono servizi diversi.

• Psicologo: si concentra sulla diagnosi e sulla valutazione dei disturbi psicologici e può offrire servizi di sostegno psicologico o riabilitazione.

• Psicoterapeuta: è uno psicologo che dopo la Laurea Magistrale ha conseguito una formazione quadriennale presso una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia specializzandosi in un approccio psicoterapeutico. Questo lo abilita a offrire ai suoi pazienti un percorso terapeutico completo.

Una cosa è certa: indipendentemente dalle differenze sulla testa di entrambi pesano questi pregiudizi.

 

Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)

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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Stereotipi e pregiudizi sugli psicologi: cosa c’è di vero?”:

Di Gioacchino A. et al., (2017) Dal Sé al selfie – Identità e relazioni nell’era del virtuale, in: AeP Adolescenza e Psicoanalisi Anno XI N.1.

Watzlawick P. et al., (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Roma, Astrolabio, 1978.

 

 

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