La genitorialità è da sempre una grande sfida nella quale due persone si avventurano senza rassicuranti tutorial o ricette garantite.

L’adolescenza fra le varie fasi dello sviluppo è sempre stata quella che più mette in crisi il sistema. Quello che era “il mio bambino” cambia a vista d’occhio e vuole sperimentare i limiti di questo nuovo corpo. Il risultato, nel migliore dei casi, è un conflitto evolutivo che getta le basi per l’adulto che diventerà.

La società liquida (Bauman, 2003) dei social media in cui viviamo ha cambiato però le regole in tavola. La tecnologia evolve ad un ritmo frenetico al quale i genitori spesso faticano o non riescono a stare appresso mentre ai ragazzi viene naturale. Qui si evidenzia lo spartiacque tra immigrati e nativi digitali ovvero coloro nati prima o durante l’era dei social media. I bambini hanno bisogno fino alle soglie della pre adolescenza di vedere i genitori come onnipotenti. Essi per loro sono capaci di risolvere qualsiasi problema e di proteggerli da ogni male.

Crescendo le loro richieste diventano più complesse e si arriva ad un punto in cui il genitore non riesce più a soddisfarle tutte. Questo getta le basi per quella spinta evolutiva a fare da sé tipica dell’adolescenza.

E’ facile trovarsi in questa fase difronte al rifiuto a volte infastidito da parte del ragazzo a farsi aiutare dai genitori. Cosa succede però se i genitori non essendo al passo con la tecnologia non riescono a rispondere alle domande del loro bambino? Il bambino posto anzitempo di fronte alla fallibilità del genitore reagisce cercando e spesso trovando da solo le risposte. Presto diventa più abile del genitore al punto da essere lui a spiegare come usare app o altre funzioni di cellulari e computer.

Questa inversione della trasmissione dell’asse del sapere intergenerazionale porta alla squalifica del genitore interiore e ad un assunzione di un ruolo di adulto saltando di fatto una fase della crescita. A mio avviso qui troviamo la base dell’interruzione del dialogo tra genitori e figli. Un adolescenza che viene da queste basi può portare a far sentire il ragazzo solo ad affrontare l’inizio del suo percorso per costituirsi come soggetto della propria vita (soggettivazione v. Cahn 1998; 2010). Senza aver avuto la possibilità di interiorizzare un modello di adulto efficace è naturale che non abbia idea di come fare a diventarlo lui stesso.

Bisogna ricostruire un ponte e per farlo si deve lavorare affinché l’adulto torni ad essere quella fonte di supporto autorevole che l’adolescente senta di poter usare al bisogno come rete di salvataggio. Questo gli permetta di sperimentare i suoi limiti accrescendo la conoscenza e la fiducia in sè stesso. Quando le difficoltà del rapporto sembrano sormontare le forze dei genitori è il momento di trovare il coraggio e l’umiltà di chiedere un aiuto. Un percorso di sostegno alla genitorialitá ragionato in questo senso può essere un buon punto da cui ripartire alla ricerca del dialogo perduto.

Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicoterapeuta a Roma

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Bibliografia dell’articolo

Bauman, Z. Intervista sull’identità. B. Vecchi (a cura di). Roma-Bari, Laterza, 2003.

Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.

Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35, Roma, Magi, 2010.

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