La nostra epoca ha visto una crescita esponenziale del consumo di oggetti, con lo shopping online e di intrattenimento, con social e piattaforme di streaming. Questo dato apparentemente banale ci dice invece molto su cosa stia alla base del nostro funzionamento mentale oggi.
Ci ritroviamo in una società che ci ripete: “sii felice! e dimostramelo ostentandolo”, per obbedire a questa ingiunzione paradossale (Watzlawick P. et al., 1967) ci riempiamo di micro stimoli continui di piacere nella forma di acquisti o contenuti social. Creiamo così uno stato di costante sedazione che ci impedisce di vedere il nostro malessere e di affrontare una crisi evolutiva.
Eric Fromm profeticamente ci proponeva già alla fine degli anni settanta l’uomo contemporaneo come un neonato che ingerisce passivamente tutto quel che gli viene messo a disposizione. Alla stessa maniera del piccolo ci sentiamo di esistere solo quando consumiamo qualcosa (Fromm, 1976).
Mentre in un lattante è segno di salute, nell’adulto un consumo vorace e compulsivo è il segnale di un tentativo disperato di riempire un vuoto. Questo comportamento ci ricorda in psicopatologia quello del depresso che cerca di sfuggire all’apatia e alla noia distraendosi continuamente dal proprio male. I social ad esempio possono essere usati a questo scopo come un gratificazione infinita sempre a portata.
Sempre Fromm (1976) ci parla di un uomo che non si sa definire e che finisce per scambiare ciò che è per ciò che ha. Con il rischio che le esperienze e le relazioni finiscano per essere consumate alla stessa maniera degli oggetti materiali. Se tutto può essere usato, acquistato e scambiato in maniera indifferente ed equivalente allora nulla ha più veramente valore e unicità.
Il sociologo francese Gilles Lipovetsky (1983) riprende e amplia questo concetto descrivendo la nostra come una nuova era del consumismo. La novità sta nel fatto che ha trasformato il problema in prodotto.
La felicità è al centro del marketing come un prodotto acquistabile. Noi consumatori non abbiamo più solo bisogno di ostentare il nostro status sociale e nascondere i nostri complessi d’inferiorità, come in passato.
Adesso abbiamo incorporato il consumo nella nostra vita psichica come elemento fondamentale.
Si tratta di una risposta coerente nata dalla nostra cultura che ci ha insegnato ad anestetizzarci costantemente per soffocare la consapevolezza del nostro malessere interiore. Non a caso il mercato degli psicofarmaci non è mai stato così florido. Ricorriamo ad ansiolitici e antidepressivi come soluzione facile, “al bisogno” quando il consumo d’intrattenimento non basta più.
Dobbiamo restare depressi per trovare nel consumo la cura illusoria, ma non così depressi o consapevoli da chiuderci in un’anedonia che ci toglierebbe la voglia di consumare.
Secondo Minois la società in cui viviamo è caratterizzata da:
-Culto del look e dell’apparire.
-Ossessione per il corpo.
-Sindrome di Peter Pan.
-Il dovere di essere realizzati.
-Il dovere di divertirci.
Tutti gli ingredienti per produrre in massa nuovi depressi. Se essere felici, è un dovere fondamentale, non riuscirci può diventare traumatico (Minois, 2003).
Lipovetsky chiama questa la “società della delusione”. Perché ci induce a valutare il nostro grado di felicità come se fosse misurabile. Qualcosa che possiamo acquistare o scambiare.
Quando però sperimentiamo giorno dopo giorno che questo non è vero, ci scontriamo con l’illusorietà del confondere benessere e materialismo. Con il risultato di finire in uno stato di costante frustrazione e disagio psichico.
L’idea stessa della felicità completa viene dal materialismo, perché presuppone che essa sia un qualcosa di misurabile, invece che essere un costrutto della nostra mente.
In pratica è come se ci aspettassimo che la felicità ci arrivi come un oggetto nuovo: perfetta e completa di tutti gli accessori.
Le attese verso il benessere economico funzionano allo stesso modo: vogliamo tutto e garantito nel tempo. Il contratto a tempo indeterminato, la casa di proprietà, una macchina a testa e così via.
Anche le esperienze finiamo per calcolarle andando al risparmio: scegliamo la scorciatoia, anche se non è la via migliore, ma solo la meno faticosa.
È lo stesso meccanismo mentale per cui siamo subito attratti da un prodotto in offerta senza magari realizzare che guardando il prezzo al kilo non ci conviene.
Misuriamo il vivere felici in termini quantità: se vivrò in un appartamento più grande sarò più felice o anche, se farò ferie più lunghe saranno più rilassanti.
Applicare la logica materiale ai sentimenti è un errore concettuale che genera malessere.
Siamo frustrati dal fatto di non aver raggiunto il livello di benessere che ci saremmo aspettati. Scordandoci che il benessere non ha uno standard stabilito, perché è soggettivo e provare a misurarlo implica porci in un malsano confronto con il prossimo che sa tanto di gara.
Quel che possiamo fare, per opporci alla depressione da materialismo, è saper differenziare il funzionamento dei sentimenti e quello delle cose materiali:
-I sentimenti:
- Non hanno criteri assoluti.
- Sono per definizione soggettivi.
- Non sono comparabili.
- Cambiano nel tempo e in base alle situazioni.
-I beni materiali:
- Sono misurabili.
- Hanno degli standard fissati.
- Restano uguali a se stessi, al massimo si deteriorano.
Se vogliamo lo spunto di Fromm ci può essere da guida: ognuno di noi deve cercare di uscire dalla stagnanzione e riprendere il proprio percorso di soggettivazione (Cahn, 1998; 2010).
Il primo passo è quello di smettere di scappare e accettare la crisi. Se la utilizziamo evolutivamente porterà al cambiamento e ci farà uscire dalla passività di chi la subisce.
Fromm (1964) crede nella nostra capacita di usare quella spinta interna alla trasformazione creativa. Questo richiede fatica, tempo, ma soprattutto la capacità di tollerare il conflitto con tutta l’incertezza e i riadattamenti dolorosi che ci porta (Fromm, 1972).
Lipovetsky invece, vede nella nostra società un modello autoperpretante e quasi impossibile da cambiare in quanto i problemi degli esseri umani derivano dalla loro società. Quindi fin quando baseremo tutto sui beni materiali la nostra resterà una “società della delusione”.
Eppure la psicoanalisi dimostra che quando cambiamo, anche i sistemi in cui siamo inseriti (famiglia, ufficio, società) cambiano con noi. Un effetto domino in cui la prima tessera a cadere innesca una reazione a catena che arriva fino alle più lontane. E dunque la psicoanalisi, che nel panorama attuale è spesso rappresentata come fuori posto, oggi più che mai può aiutarci.
In un mondo che ci vuole tenere in superficie, tuffarsi nel profondo del nostro mondo interiore è quell’atto rivoluzionario che ci può accompagnare a riprendere il controllo della nostra vita.
Se ti ritrovi in quello che hai letto è il momento di prenditi la responsabilità della tua felicità e chiedere aiuto a un professionista specializzato.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)
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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Comprare la felicità: gli effetti del consumismo sulla mente”:
Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.
Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35, Roma, Magi, 2010.
Fromm E. (1964). Il cuore dell’uomo. La sua disposizione al bene e al male. Carabba, Roma, 1965.
Fromm E. (1972), L’atteggiamento creativo, in H. H. Anderson (a cura di), Creativity and its Cultivation, Brescia, La Scuola 1972, trad. it. La creatività e le sue prospettive, a cura di D. Simeone, Scholé, Brescia, 2020.
Fromm E. (1976). Avere o essere?. Mondadori, Milano, 1977.
Lipovetsky G. (1983). L’era del vuoto. Luni Ed., Milano, 2021.
Lipovetsky G. (2006). Una felicità paradossale. Raffaello Cortina, Milano, 2007.
Lipovetsky G. (2006) Piacere e colpire – la società della seduzione. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019.
Minois G. (2003). Storia del mal di vivere. Dedalo Ed. Bari, 2005.
Watzlawick P. et al., (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Roma, Astrolabio, 1978.
https://www.dottstefanoandreoli.it/single-post/l-era-della-postmodernit%C3%A0-le-visioni-profetiche-di-erich-fromm-sulla-societ%C3%A0-dell-iperconsumo