La solitudine trasformativa: si può stare bene anche da soli?

Mi è capitato spesso di sentire pazienti e conoscenti parlare di se stessi dicendo: “Mi sento solo”. Quando ci identifichiamo con questa frase tendiamo a ripeterla spesso come fosse un mantra. La solitudine non è qualcosa di necessariamente negativo, ma questo rischia di farla diventare la nostra nuova identità.

 

Quanti tipi di solitudine esistono?

Molti considerano lo stare da soli come esclusivamente negativo, qualcosa con cui non si può convivere perché fa stare male. In realtà la solitudine può avere molte facce non tutte dannose, le possiamo raggruppare in tre categorie principali:

-La solitudine patologica: quando lo stare da soli diventa vero isolamento e porta a deprivazione affettiva e relazionale.

-La solitudine trasformativa: quando stare con noi stessi, se anche ci fa star male, può diventare un’occasione di crescita personale. Un male necessario in un processo evolutivo. La solitudine si trasforma così in possibilità di imparare a stare bene con noi stessi senza dipendere sempre dalla socialità.

-La fuga dalla solitudine: quando riempiamo ogni momento libero d’impegni, lavorativi o sociali che siano, dobbiamo domandarci cosa ci faccia tanta paura all’idea di avere un momento per fermarci e guardarci dentro e perché quando ci succede veniamo presi da tristezza o ansia.

 

Solitudine 2.0:

Nella società dei social in cui viviamo ci impegniamo a costruire le nostre vetrine virtuali riempiendole di soli momenti felici, dei nostri migliori scatti, dei nostri ultimi acquisti. Un’immagine di felicità apparente che non lascia spazio neanche all’idea della solitudine (Di Gioacchino et al. 2017; 2018).

La popolarità d’altronde sembra essere oggi proprio l’opposto: costanti riconoscimenti tramite i likes e interazioni con commenti e messaggi privati. Lo stare da soli diventa qualcosa di demonizzato, il che è paradossale, se pensiamo che a promuovere questa idea è proprio il sistema dei social che ci porta a stare sempre di più in quella stanza davanti al portatile o al cellulare connessi, ma da soli.

Stare soli può farci paura, darci un senso tristezza e preoccuparci per il nostro futuro. Dobbiamo invece imparare a scoprire come saper stare con se stessi a volte è la base per poi saper stare con gli altri.

Se si da valore a se stessi è più facile sentirsi amati quando si riconosce lo stesso sentimento in una persona che ci vuole bene.

Questo non significa che non ci siano situazioni in cui la solitudine si trasformi in isolamento, che è un segnale di patologie come una possibile depressione o ritiro sociale. Queste emergono da un contesto sociale complesso, famiglie conflittuali o traumi del passato.

In questo caso è necessario invece un supporto psicologico adeguato.

 

Come viene considerata la solitudine in psicologia?

In termini psicologici, viene considerata una difficoltà a comunicare e relazionarsi. Una questione mentale, prima che sociale. Qualcosa quindi, che parte dal nostro interno, più che qualcosa che ci viene imposto dall’esterno.

La psicoanalisi più nello specifico la considera sotto due aspetti:

-Positivo: spazio potenziale in cui si può dare luogo a una crescita personale.

-Negativo: spazio dove la pulsione di morte ha la meglio portando allo sviluppo della patologia.

 

La solitudine patologica:

La solitudine può prendere il sopravvento e invece di essere uno spazio nel quale rifugiarsi diventare totalizzante. Diventa così l’origine di una sofferenza costante e inconsolabile. Quando oltre che forte si fa duratura e inizia a intaccare la qualità della nostra vita è un probabile sintomo di un disagio psicologico.

In questo caso prenderà il significato di paura:

-Del confrontarci con gli altri.

-Che gli altri ci vogliano fare del male.

-Di essere caduti in una solitudine esistenziale.

Questi scenari ci possono portare a chiuderci in noi stessi. Le paure diventano certezze e la situazione ci sembra senza soluzione. Per fortuna non è così e se ne può uscire.

A quali patologie è associata la solitudine?

La solitudine è un sintomo di molte patologie, ma mai una patologia a sé.

Tra queste le principali sono:

Depressione.

-Disturbo evitante di personalità.

Fobia sociale.

-Disturbo d’ansia sociale.

-Sindrome dell’Hikikomori.

-Disturbi dello spettro autistico.

-Alcuni tipi di Schizofrenia.

(DSM-5 TR, 2023 e ICD-11, 2021)

Ciò che accomuna tutte queste patologie è sentirsi socialmente inadeguati. La solitudine viene usata come difesa contro il giudizio altrui o, nei casi più gravi, da una paranoia di persecuzione.

Tutti questi tipi di sofferenza psichica richiedono l’intervento di un professionista specializzato. Se ignorate non faranno che mettere radici più profonde che renderanno la cura più lunga e difficile.

Non si deve ignorare neanche l’aspetto neurobiologico. La ricerca ci mostra come la solitudine prolungata possa essere collegata a un funzionamento ridotto di alcune aree del cervello le quali sono in grado di stimolare le sensazioni comunemente legate al malessere di solitudine e isolamento.

 

La solitudine trasformativa:

La solitudine può essere una risorsa se impariamo a usarla come uno strumento a nostra disposizione. Uno spazio privato in cui ci possiamo rifugiare quando abbiamo bisogno di riflettere o di prendere fiato dalle questioni che ci assillano.

Affinché sia possibile ci devono essere delle precondizioni:

-Si tratta di un malessere temporaneo

-Non è solitudine patologica

-Abbiamo una forte motivazione alla crescita personale e del nostro benessere.

Stare da soli è un modo di essere che si può sposare, mentre sentirsi soli è una sensazione che ci fa male. Per affrontarla a volte è necessario fermarsi e accettarla per poi provare a vederla sotto una nuova prospettiva.

Ci si può sentire soli dopo la fine di un amore o di un’amicizia, quando ci dobbiamo allontanare dalla famiglia o dal partner per studio o per lavoro. Se si vuole evitare di venire sovrastati da questi eventi li si deve accettare ed elaborare per poi infine superarli.

Un percorso terapeutico può essere lo strumento giusto per questo. Perché ci permetterà di cambiare il punto di vista sul modo in cui stiamo vivendo lo stare da soli. Una volta accettato che sentirsi soli è una sensazione interiore e non qualcosa di imposto dall’esterno potremo lavorare a trasformare la solitudine in una risorsa.

 

7 motivi per stare bene anche da soli:

Imparare a stare da soli offre molti vantaggi:

-Spazio di riflessione: aiuta a pensare a noi stessi e a prendere decisioni.

-Hobby in solitaria: dedicarci a una passione che sentiamo essere solo nostra (disegno, trekking, musica… etc.), nella quale non dobbiamo esporci al giudizio di nessuno ci permette di progredire al nostro ritmo e senza ansie e goderci dei momenti dedicati solo a noi.

-Originalità: anche se si lavora in gruppo prendersi tempo per dedicarsi al progetto per conto proprio farà emergere la propria creatività permettendo di portare al gruppo un contributo che sentiamo come solo nostro.

-Concentrazione: lavorare in solitaria a un progetto può aiutare a eliminare le distrazioni e velocizzare il processo.

-Ricarica: se siamo introversi uno spazio solo per noi ci permette di ricaricare le nostre batterie sociali. Permettendoci di rilassarci a pieno senza dover badare alle influenze esterne.

-Nuove amicizie: sembra paradossale, ma quando facciamo attività da soli siamo spesso più aperti a parlare e a conoscere. Si tratta di un istinto di aggregazione con persone che riconosciamo simili a noi che ci portiamo dietro dalla preistoria.

-Prevenzione: Imparare a stare bene anche da soli, vuol dire migliorare il rapporto con se stessi. Questo può prevenire diversi disturbi mentali.

 

La fuga dalla solitudine:

Alcuni di noi sembrano non stare mai fermi, ci riempiamo d’impegni e quando sono finiti cerchiamo ossessivamente qualcuno con cui uscire. I latini chiamano questo horror vacui la paura dello spazio vuoto.

Non si tratta di un modo di affrontare la vita necessariamente patologico, ma tradisce una difficoltà a stare da soli.

I comportamenti tipici di chi teme la solitudine sono:

-Riempirsi d’impegni senza lasciarsi un momento fino alla fine della giornata.

-Passare da una relazione a un’altra senza un periodo di pausa.

-Stare sempre in compagnia o alla ricerca di eventi a cui partecipare.

-Essere sempre il primo a proporre cose da fare agli altri e non fermarsi finché non si è trovato qualcuno disponibile.

-Venire presi da ansia e disagio quando ci si ritrova da soli senza fare niente.

 

Considerando che è impossibile essere sempre impegnati e l’angoscia che si deve affrontare quando ci si trova da soli, prendere in considerazione un percorso di crescita personale per imparare a stare con se stessi in maniera positiva può essere un buon investimento.

Chiedere aiuto a un terapeuta in questo caso ci aiuterà a comprendere da dove origina questa paura del vuoto per capire come superarla e magari scoprire tutte quelle possibilità che la solitudine trasformativa ha da offrirci.

 

Come si fa a smettere di sentirsi soli?

Come abbiamo detto solitudine e sentirsi soli non sono la stessa cosa. Si deve imparare a distinguere se ciò che proviamo, è un sintomo o solo un segnale di qualcosa di passeggero legato al periodo che stiamo affrontando.

Riuscire a fare questa distinzione da soli può essere molto complicato. Se sei in dubbio e vuoi capire meglio la tua situazione chiedi un consulto a un professionista specializzato. Un percorso terapeutico adatto alle tue esigenze ti aiuterà a superare questo momento e a farti chiarezza.

Quando ti senti solo, stai ricevendo un segnale potente dal tuo interno che qualcosa non va. Perché ignorarlo quando potresti prenderti la responsabilità della tua felicità e scoprire che si tratta solo di uno stato mentale che puoi superare?

Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)

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Bibliografia e sitografia dell’articolo “La solitudine trasformativa: si può stare bene anche da soli?”:

Di Gioacchino A. et al., (2017) Dal Sé al selfie – Identità e relazioni nell’era del virtuale, in: AeP Adolescenza e Psicoanalisi Anno XI N.1.

Di Gioacchino A. et al., (2018) Menti adolescenti “attraversate” dal mondo digitale – Una prospettiva gruppale, in: AeP Adolescenza e Psicoanalisi Anno XII N.1

Laplanche J., Pontalis J.B. (1967). Enciclopedia della psicoanalisi, Tomo primo. Bari, Laterza 2010.

Laplanche J., Pontalis J.B. (1967). Enciclopedia della psicoanalisi, Tomo secondo. Bari, Laterza 2010.

Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5 TR. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023.

World Health Organization (2021). ICD 11: International statistical Classification of Diseases and related health problems (11th ed.).

Di Gioacchino A. et al., Adolescenti nella rete Una prospettiva gruppale, in: Funzione Gamma N.38. http://www.funzionegamma.it/wp-content/uploads/Fenu_c.pdf

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