Si sente spesso parlare della sindrome dell’impostore, ma cosa si intende veramente con questo termine? Esso origina da un articolo scritto da due psicologhe statunitensi, Pauline Clance e Suzanne Imes, nel 1978 (Clance P.R., Imes S., 1978).
Le quali esponevano l’idea che esistesse un “fenomeno dell’impostore” per cui donne di successo sentissero di non meritare i propri risultati. Questo esitava in una paura costante che qualcuno se ne accorgesse e di essere smascherate.
Le autrici in realtà si oppongono all’uso della parola sindrome poiché ritengono che il loro concetto sia un fenomeno, ovvero un tipo di esperienza più che una patologia. Il loro scopo era infatti normalizzare questo tipo di esperienza e non patologizzarla così da aiutare chi ne è afflitto a superarla.
Questo concetto è stato ripreso e rimaneggiato più volte negli ultimi cinquant’anni. Un esempio interessante è quello della scrittrice australiana Rebecca Harkins-Cross. La quale sostiene che il capitalismo abbia bisogno che ci sentiamo tutti degli impostori così che siamo spinti a lavorare sempre di più senza mai essere soddisfatti di noi stessi.
L’idea originale è indubbiamente passata per tante bocche prima di arrivare ad essere la “sindrome” universale di cui più o meno a proposito si sente parlare adesso.
Mi piacerebbe riflettere sul concetto alla base ovvero il viversi come indegni e la paura di essere scoperti e trovare conferma del fatto di non valere abbastanza. Poiché si tratta di un vissuto che può affliggere uomini e donne e non necessariamente di successo.
Questa immagine di sé veicolata dall’insicurezza e dall’ansia soggettivi mi fa pensare ai concetti di D.W. Winnicott di “falso Sé” e “vero Sé” (Winnicott D.W., 1960). L’identità di impostore rappresenta in questo caso un falso Sé che va a impedire, a chi vi si identifica, di vivere il proprio vero Sé. Con il risultato di non poter essere felici neanche quando si ottiene successo. Poiché viene percepito come un qualcosa di cui non si è meritevoli.
Questa identificazione con un’immagine sminuita della propria persona può essere efficacemente affrontata con un percorso mirato di psicoterapia. L’obiettivo sarà conoscere e riconoscere se stessi nella propria interezza capendo le origini di questa tendenza alla svalutazione. Così da poter accettare la possibilità di essere amato per quel che sono anziché temere ciò che gli altri possono pensare che io sia.
In conclusione mi sento di accogliere l’invito che la scrittrice Leslie Jamison fa nel suo articolo e considerare il fenomeno dell’impostore “non come un vago sinonimo di insicurezza o auto-critica, ma come un modo per descrivere l’illusione più specifica di essere un truffatore che ha ingannato con successo un pubblico esterno.” Un’esperienza che “definisce il divario che persiste tra le esperienze interiori dell’individualità: multiple, contraddittorie, incoerenti, striate di vergogna e desiderio e l’imperativo di presentare al mondo un sé più coerente, composto e continuo.” (Jamison, L., 2023).
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma
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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Sindrome dell’impostore: è giusto riconoscersi i propri meriti?”
Clance, P. R., & Imes, S. (1978). The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychotherapy, 15(3), 241-247.
http://dx.doi.org/10.1037/h0086006
Jamison, L. (2023). Why Everyone Feels Like They’re Faking It,The concept of Impostor Syndrome has become ubiquitous. Critics, and even the idea’s originators, question its value. The NewYorker
https://www.newyorker.com/magazine/2023/02/13/the-dubious-rise-of-impostor-syndrome
Winnicott D. W. (1960). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando: Roma.