Mai come oggi la comunità LGBTQIA+ ha avuto visibilità e risonanza a livello globale. I giovani, in particolare dalla Gen Z in avanti, si stanno aprendo all’esistenza di uno spettro di orientamenti sessuali di cui fino a pochi anni fa si faceva finta di ignorare l’esistenza.
L’omofobia di allora ha preso nuove forme, ma non è di certo scomparsa. Ciò che viene percepito come diverso da me genera da sempre diffidenza e in certi casi odio. Reprimere è molto più semplice in quanto allontana dagli occhi e risparmia dal confronto.
Accettare la diversità significa fare i conti con la solidità della propria identità. Un lavoro faticoso di messa in discussione che molti non sono pronti a fare.
Ecco che eventi come il Pride vengono accolti da alcuni come una “imposizione della teoria gender” anziché un festoso invito a conoscersi per superare insieme la paura.
Un tipo di omofobia
Una delle forme di omofobia che persiste è l’intolleranza verso gli uomini e le donne che presentano comportamenti considerati esclusivi dell’altro sesso. Effemminati, maschiacci sono epiteti che sottolineano il disprezzo per chi esce dai ruoli di genere accettati dalla società.
L’omofobia parte dal pensiero e prende forma nella parola e nei casi peggiori nelle azioni. Chi non ha mai sentito dire frasi come: “non ho nulla contro i gay ma…”. Questa retorica è tipica di chi genuinamente non si ritiene omofobo, ma in dovere di sottolineare dove il “diverso” sbagli.
Una posizione in cui si cerca di salvaguardare se stessi sia dal confronto costruttivo sia dall’etichetta d’intollerante.
A quel “ma…” di solito segue l’invito a non farsi vedere, a non essere riconoscibili. In poche parole, a non avere un’identità perché questa infastidisce chi non è pronto a scoprire un mondo dove non tutti sono uguali a me.
In parte è ciò che avviene quando a una manifestazione LGBTQIA+ seguono dichiarazioni che ne condannano la forma perché i partecipanti hanno abiti troppo appariscenti, un make-up vistoso o perché piegano i vincoli dei ruoli di genere.
Di solito si parla di un’ostentazione inutile poiché i diritti civili sono già stati acquisiti da tempo. Tacendo volontariamente quanto ci siano ancora grosse differenze giuridiche in Italia e in molti paesi sia illegale essere qualcosa di diverso da eterosessuale.
Anche se la questione giuridica fosse davvero paritaria il fatto che si senta il bisogno di scagliarsi contro una parata ci fa capire quanto lunga sia la strada prima di arrivare all’accettazione in una situazione dove non siamo neanche alla tolleranza.
La plumofobia:
Non si tratta di una vera e propria fobia in senso stretto, ma di un rigetto specifico verso che mostra atteggiamenti del sesso opposto a quello di nascita.
In italiano non esiste un termine specifico, la parola deriva dallo spagnolo in cui “pluma” significa “piuma”, e chi “ha la piuma” è qualcuno che esibisce tratti considerati esclusivamente femminili pur non essendo femmina alla nascita. La cosa interessante è che questo tipo d’insofferenza è presente anche nella comunità queer.
In app d’incontri per omosessuali sta aumentando la discriminazione contro gli utenti uomini, considerati eccessivamente effemminati, o donne troppo mascoline.
Vengono privilegiati gli opposti, questo potrebbe fare capo ad un omofobia internalizzata che porta ad adeguarsi alle aspettative della società eterosessuale cisgender autocensurandosi nell’espressione più esteriore della propria sessualità.
Il fenomeno è stato analizzato in uno studio pubblicato sul Gay Times da cui emerge che tra gli intervistati, il 57% degli “straight-acting” ovvero omosessuali che non hanno alcun comportamento o elemento estetico considerato esclusivo della comunità queer, ritiene che chi ha atteggiamenti “effemminati” danneggi la collettività gay.
Trovo interessante il fatto che il termine stesso “straight-acting” venga considerato offensivo da una larga parte della comunità gay che rifiuta considera assurda l’esistenza di un modo unico e codificato di essere eterosessuali o omosessuali a discapito dell’individualità.
Questa intolleranza, indipendentemente dalla provenienza, può dare adito a episodi violenti. Secondo i dati ANSA in Italia nel 2024, ci sono stati 149 casi di violenze o discriminazioni contro persone LGBTQIA+, circa una ogni due giorni.
Allargando lo sguardo vediamo che al mondo l’omosessualità è ancora reato in 60 paesi. Questi dati ci danno una misura di quanta strada ci sia ancora da fare.
Di tutti gli eventi di violenza la stragrande maggioranza sono contro persone che hanno “indicatori di omosessualità”, ovvero elementi del comportamento o dell’abbigliamento che li fanno rientrare negli stereotipi della cultura cisgender. Ad esempio abbigliamento vistoso o poco “maschile” per gli uomini e taglio di capelli corti per le donne abbinati a vestiti unisex o maschili.
Va ricordato che la plumofobia non colpisce esclusivamente la comunità LGBTQIA+, ma anche eterosessuali considerati colpevoli di non conformarsi abbastanza agli stereotipi di genere. Questo ci fa capire come la paura renda ciechi e inclini ad allontanare, se non aggredire, tutto ciò che non capiamo perché non ci somiglia.
L’origine della paura:
La paura del diverso è un meccanismo difensivo legato all’ansia e all’istinto di autoconservazione. Entrambi elementi che dobbiamo saper riconoscere e utilizzare a nostro vantaggio.
Lasciarsi dominare da essi porta a una paura verso tutto ciò che viene percepito come diverso poiché viene categorizzato dalla nostra mente come pericoloso, una minaccia al mantenimento della nostra routine intesa come status quo.
Quest’atteggiamento presta il fianco al lato limitante dell’ansia che ci impedisce di scorgere il potenziale che il contatto con ciò che è diverso da noi ci porta.
Ovvero la possibilità di arricchirci di nuove conoscenze e di conoscerci meglio vedendoci ritratti in tutte le differenze che possiamo avere con l’altro da sé.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)
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