Capita ogni tanto di sentire dire che dovremmo abbandonare le nostre convinzioni per essere più aperti, felici o realizzati. Per capire quanto questo sia utile dobbiamo prima chiarire come nascono, cosa sono e a cosa servono le convinzioni.
La mia mente non è una macchina:
Viviamo nell’era dell’informazione, mai come oggi siamo bombardati costantemente da stimoli.
Riceviamo un flusso costante di informazioni da:
-Telegiornali.
-Social.
-Siti internet.
-Dal mondo che ci circonda.
-Dalle persone con cui interagiamo.
Un volume di dati tale che per essere analizzato ogni volta richiederebbe la potenza di un processore di ultima generazione. La nostra mente è un potente elaboratore di input, ma ha i suoi limiti.
Per questo ha elaborato delle scorciatoie, come processare alcune cose in automatico senza fermarsi veramente a valutarle. Ci creiamo delle rappresentazioni che usiamo da modello precompilato per gestire stimoli che si ripetono nel nostro quotidiano.
Le rappresentazioni servono a semplificare la realtà. Ci permettono di funzionare nella società dando per stabilite alcune nozioni come ad esempio:
-La nostra identità.
-I nostri compiti.
-Chi compone la nostra cerchia stretta e allargata.
Senza di esse ogni giorno dovremmo ricominciare da capo, facendo uno sforzo enorme e precludendoci la possibilità di progredire.
Da rappresentazioni a convinzioni:
Le rappresentazioni, per come le abbiamo semplificate qui, possono corrispondere a ciò che nel linguaggio comune chiamiamo convinzioni.
Le nostre giornate sono organizzate intorno ad esse. Andiamo nell’ufficio dove sappiamo di lavorare, torniamo nella casa che sappiamo essere la nostra. Sono tasselli fondamentali che costruiscono la nostra realtà eliminarle è impensabile, ma anche modificarne una è difficile.
Il nostro cervello funziona per un principio economico, tutto ciò che gli fa risparmiare energia viene premiato e privilegiato. Questa è una delle ragioni per cui più in generale facciamo tanta fatica a cambiare.
Da aiuto strategico a trappola:
La tendenza umana all’omeostasi rende molto faticoso andare oltre le nostre convinzioni. Per questo possono assumere la qualità di gabbie che ci siamo costruiti da soli.
Gli effetti possono essere di vari livelli di gravità:
-Rigidità mentale.
-Resistenza al cambiamento.
-Difficoltà di adattamento.
-Conformismo.
-Pigrizia mentale.
-Depressione.
Le convinzioni nascono dalla ripetizione di uno stesso esito di un’esperienza. La conclusione a cui arriva la nostra mente è che se un tot di volte si è ripetuto lo stesso copione quella cosa è stabile nel tempo e può diventare una convinzione.
Questa conclusione non è sempre valida né vantaggiosa. Ad esempio: sono uno studente, vengo bocciato o ottengo voti bassi ad alcuni esami di fila. Posso sviluppare la convinzione di essere un cattivo studente.
Se non contrastata questa convinzione può essere applicata ad altri ambiti fino a diventare un’assunzione d’identità. Il rischio è che io passi da ho fallito degli esami a sono un fallito. Con un ragionamento del tipo: se non sono capace a mettermi a studiare, vuol dire che non sono abbastanza bravo, che può pericolosamente diventare non valgo abbastanza.
Questo errore logico farà sì che anche quando prenderò il massimo dei voti, farò fatica a riconoscermelo come merito o segnale che mi sto rimettendo sulla giusta rotta.
Perché è difficile cambiare le mie convinzioni?
Sembra un meccanismo masochista messo lì per impedirci di essere felici, ma raramente è così, più spesso sono altri i fattori in gioco:
-Mettersi in dubbio: La realtà è che costa molta fatica, perché richiede di mettere in discussione quello che fino a ora abbiamo avuto come punto fermo. Questo può farci rifiutare il cambiamento per paura che sia destabilizzante anziché evolutivo.
Anche una cosa semplice come una nozione è più facile cristallizzarla lì che andare di tanto in tanto a verificare che sia ancora vera. Ad esempio posso ricordare che quando ero al liceo mi è stato detto, da qualcuno di autorevole, che un dito di vino a pasto fa bene. La ricerca però è andata avanti e quella informazione adesso non è più ritenuta vera.
Si tratta dello stesso meccanismo sfruttato dalle campagne politiche che propongono punti che fanno appello alle nostre convinzioni in modo da influenzarci con risposte certe che non richiedono l’energia mentale necessaria a valutare alternative più complesse.
-Bisogno di un’identità: può sembrare assurdo, ma anche quando è in negativo (incapace, vigliacco, debole, depresso, ossessivo… etc.) definirci ci dà un senso d’identità. Sapere chi siamo vuol dire sapere che ruolo ricopriamo, lo stesso vale per le persone che ci circondano alle quali affideremo un’identità o ruolo.
-Bisogno di costanza: i ruoli in cui ci identifichiamo fanno si che avremo un certo modo costante di costruire rapporti sociali.
Se mi sento “quello disponibile” tenderò a pensare che essere sempre pronto ad aiutare sia il modo migliore per farmi apprezzare. Sentirò di dover dare il mio aiuto anche quando non è richiesto o quando va a mio scapito.
Questo sistema non è perfetto, ma ci permette di avere una linea guida per non dover pensare in ogni singola situazione a come mi devo comportare.
Posso cambiare le mie convinzioni?
Non è semplice, ma è possibile se sono presenti alcuni fattori:
-Prendere consapevolezza: dobbiamo accettare che alcune convinzioni ci aiutano, altre ci limitano e altre ancora ci danneggiano.
-Tollerare la vulnerabilità: la sfida più grande è accettare la temporanea vulnerabilità in cui ci troveremo durante la transizione verso una nuova convinzione.
-Cambiamento evolutivo: se vediamo il cambiamento come una possibilità di crescere e vivere più sereni saremo meno spaventati nell’affrontarlo.
-Curiosità: ci serve per esplorare i nostri schemi e valutarne di nuovi.
-Farci aiutare: ogni percorso difficile diventa sostenibile quando fatto insieme. Trovare la persona adatta è complicato, siamo tutti un insieme di convinzioni spesso disfunzionali e resistenti al cambiamento. Con un po’ di cura però possiamo trovare chi sia genuinamente interessato a noi e ad aiutarci a evolvere. Starà a noi capire se trovarlo in un amico, nel partner o in un terapeuta.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)
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