La depressione del rassegnato

La tristezza, la malinconia, lo sconforto sono tutte parti del vivere umano che ognuno di noi sperimenta più volte nella vita per periodi più o meno lunghi. Perdere il lavoro, la fine di un amore o la morte di una persona per noi significativa possono portarci a sperimentare questi stati emotivi così intensi e spiacevoli.

Il tempo però poi fa il suo corso, il dolore si allevia e torniamo a focalizzarci sulla nostra vita e su dove siamo diretti.

Che cosa succede però se questo non accade? Se il dolore persiste e i pensieri restano bloccati, è il momento di farsi qualche domanda.

Spesso si sente dire a qualcuno “sono un po’ depresso” per descrivere un periodo duro, ma ben lontano da una depressione conclamata. Si potrebbe partire quindi dal domandarsi se si è veramente depressi.

Segnali importanti da tenere in considerazione possono essere  ad esempio:

  • Ruminazione: pensieri ricorrenti che percorrono e ripercorrono lo stesso evento luttuoso (inteso come legato a una perdita).
  • Basso tono dell’umore.
  • Visione cupa e senza speranza della vita.

Soprattutto se arrivano a un impairment (blocco) sociale, affettivo o lavorativo (v. Di Sciascio et al. 2015).

Vorrei soffermarmi su un altro segnale della depressione: la rassegnazione. Questo è un segno inconfondibile che la patologia è presente e va attenzionata.

Quando soffriamo di depressione non ci limitiamo a vedere tutto attraverso lenti nere, la nostra percezione del mondo muta tutto in un peso, un’angoscia, un pericolo.

La risposta a tutto questo è di solito la rassegnazione, abbandoniamo la speranza in un futuro migliore accettando come immutabile un presente che si ripeterà all’infinto come un girone dell’Inferno dantesco.

Ci rassegnamo al fatto che tutto sembri fuori portata: la felicità, ma anche la possibilità di trovare un partner o un lavoro soddisfacente. Persino chiedere aiuto a chi sta più vicino, ci può sembrare una meta irraggiungibile.

Questo porta a una visione a imbuto che ci propone un solo esito inevitabile e quantomeno scoraggiante ed è esattamente ciò su cui dovremo lavorare al fine di portarla ad aprirsi in un ventaglio di possibilità.

Il percorso terapeutico ci porta a riuscire a vedere quegli strumenti che abbiamo dentro di noi, e a come sperimentarci nell’imparare a utilizzarli da soli fino a poter aiutare noi stessi. Il compito più importante di un analista difatti è far sì che il paziente non abbia più bisogno di averlo come compagno di viaggio nel suo percorso di soggettivazione (Cahn 1998; 2010).

 

Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma

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Bibliografia e sitografia dell’articolo “La depressione del rassegnato”

Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.

Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35,  Roma, Magi, 2010.

Di Sciascio G., Furio M.A., Palumbo C. Deficit cognitivi nella malattia depressiva: quanti e quali strumenti per identificarli? pubblicato in Rivista di Psichiatria.  Bari, Il Pensiero Scientifico Editore, 2015.

https://www.rivistadipsichiatria.it/r.php?v=1910&a=20790&l=31274&f=allegati/01910_2015_03/fulltext/03-Di%20Sciascio%20(110-117).pdf

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