Che cos’è l’autolesionismo?
Con il termine autolesionismo intendiamo l’atto deliberato di infliggerci dolore fisico o comunque danneggiare il nostro corpo.
Esempi comuni sono:
-Graffiarsi
-Tagliarsi.
-Bruciarsi.
-Mangiarsi le unghie fino alla carne viva.
-Procurarsi delle fratture alle ossa.
Anche se non rientrano nelle classificazioni standard, non dobbiamo dimenticare che ci sono modi meno evidenti per attaccare il nostro corpo come:
-Esercizio fisico estremo.
-Indursi il vomito.
-Consumare grandi quantità di:
Questi sono associati però ad altri tipi di patologie come i DCA (disturbi del comportamento alimentare) o disturbi legati al controllo degli impulsi (DSM-5 TR, 2023 e ICD-11, 2021).
Si tratta in generale di comportamenti che riescono ad andare contro il nostro istinto più forte, quello di sopravvivenza. Per questo motivo i danni subiti dal corpo sono solo secondari rispetto al problema psicologico che li ha causati.
Il fenomeno è diffuso in particolare in adolescenza, ma può protrarsi anche nel giovane adulto e più raramente nell’adulto.
Il DSM 5 TR fa un’importante specificazione riportando che le condotte autolesive devono essere protratte per almeno 5 giorni e non avere intento suicidario. L’autolesionismo è una ricerca di sollievo non di morte.
Ricerche di settore (Kraus et al., 2010) hanno dimostrato come questa pratica, non solo non sia legata a forte stress, ma addirittura che negli adolescenti autolesionisti:
-I livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) più bassi della media.
-La soglia del dolore è più alta.
-Il dolore ha un effetto calmante.
Questi dati hanno portato a comprendere la funzione di regolazione emotiva dell’autolesionismo per chi lo pratica.
L’autolesionismo è solo uno dei metodi per gestire le emozioni che emergono in chi ha avuto vissuti difficili o traumatici. Al contrario della popolazione generale, per chi lo pratica al dolore fisico e alla vista del sangue corrisponde una riduzione dell’attività dell’amigdala, area cerebrale responsabile della risposta allo stress e della gestione di aggressività e paura.
Quali sono le motivazioni dietro l’autolesionismo?
-Sollievo: stati emotivi difficili da gestire come ansia, rabbia o tristezza possono portare a impulsi autolesivi, poiché non si conosce una strategia più adattiva per farvi fronte.
-Punizione: quando si lega al senso di colpa, l’autolesionismo diventa uno strumento per autopunirci. Carenze affettive gravi in infanzia, traumi o bullismo possono portare a una bassa autostima e vissuti di impotenza per cui sentiamo di meritarci di essere puniti.
Questo tipo di meccanismi mentali disfunzionali sono spesso associati a:
- Abuso di sostanze.
- Disturbo borderline di personalità.
(DSM-5 TR, 2023 e ICD-11, 2021).
-Per provare qualcosa: alcuni traumi portano a uno stato di anedonia, ovvero una mancanza di reazioni emotive che fa sentire come in uno stato di piattezza insostenibile. Si tratta di una difesa estrema per impedire a certi ricordi traumatici di riemergere. Allo stesso tempo però pur di sentire qualcosa e uscire dal vuoto, si ricorre al farsi del male.
-Regolare le emozioni: in certi casi le condotte autolesive permettono temporaneamente di gestire stati emotivi intensi anestetizzandoli con il rilascio di endorfine e il rilassamento che segue al farsi del male. Passato il senso di benessere però ci si sente in colpa favorendo nuovi attacchi al corpo. Si crea così un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Sintomi:
L’autolesionismo non è semplice da individuare proprio per la sua natura di pratica privata e nascosta.
Si scelgono di solito parti del corpo poco visibili, tuttavia ci sono alcuni segnali:
-Esteriori:
- Ferite inspiegabili.
- Numerosi piccoli tagli.
- Uso di maniche lunghe fuori stagione o di un gran numero di bracciali o polsiere che non vengono mai tolti.
-Psichici:
- Disregolazione delle emozioni.
- Sentimenti d’impotenza e bassa autostima.
Come evolve l’autolesionismo?
C’è chi riesce a superarlo da solo e riferisce che le motivazioni principali siano state:
-Aver imparato ad aspettare che i momenti di sofferenza passassero senza doversi tagliare.
-Aver trovato un partner che li facesse sentire amati.
-Avere superato questo modo di reagire alle avversità maturando.
C’è chi invece non riesce a smettere, in questo caso:
chiedere aiuto a un professionista specializzato diventa fondamentale. Riuscire a liberarsi di una strategia di coping che riesce a superare l’istinto di sopravvivenza è una sfida difficile. Capirne le origini e affrontarla insieme è l’unico modo per superarla.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)
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Bibliografia e sitografia dell’articolo “Autolesionismo: quando il dolore diventa una via di fuga”:
Kraus, A., Valerius, G., Seifritz, E., Ruf, M., Bremner, J. D., Bohus, M., & Schmahl, C. (2010). Script‐driven imagery of self‐injurious behavior in patients with borderline personality disorder: a pilot FMRI study. Acta Psychiatrica Scandinavica, 121(1), 41-51.
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5 TR. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023.