La chiave del “successo”: accettare i nostri errori.

In un mondo che ci spinge al continuo confronto con gli altri tramite i social è facile cadere nel perfezionismo. Possiamo diventare ipercritici verso noi stessi e non concederci più di tollerare un errore.

Fa quasi ridere, ma quest’atteggiamento stesso è basato su degli errori:

-Da un punto di vista psicologico: Il perfezionismo si associa a patologie legate all’ansia o al narcisismo.

-Dal punto di vista cerebrale: il processo di apprendimento non può avvenire in maniera efficace senza che commettiamo degli sbagli che sono memorizzati per evitare che si ripetano e per permetterci di migliorare.

“Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai.”

Diceva ironicamente, ma con non poca saggezza, il pittore Salvador Dalì.

Accettare un errore, può essere difficile anche in assenza di patologie conclamate. Alcuni di noi, ad esempio, sono orgogliosi o suscettibili. Eppure è proprio sbagliare che ci permette di ampliare le nostre conoscenze.

Ci scordiamo che è così che abbiamo imparato a camminare e poi ad andare in bicicletta. Entrambe attività impossibili da apprendere senza cadere, accettare lo sbaglio e ritentare provando a fare meglio.

 

Quali processi usa la nostra mente per apprendere?

Shadmehr e colleghi (Shadmehr et al., 2010) hanno studiato questo fenomeno in una ricerca per la Johns Hopkins University. Hanno sottoposto un gruppo di volontari a un esperimento nel quale dovevano imparare a compiere delle azioni motorie usando un joystick.

Dallo studio dell’attività cerebrale dei partecipanti è emerso che utilizziamo due processi che si attivano contemporaneamente:

-Immagazzinamento delle novità: in questo caso utilizzato per imparare i comandi motori richiesti.

-Registrazione degli errori: gli sbagli più importanti vengono memorizzati. In questo modo i tentativi successivi sono migliori e più veloci. In pratica la mente analizza le differenze tra come si aspetta che l’azione desiderata si svolga e come va nella pratica. Questo calcolo inconscio valuta questi errori di predizione e li usa come base per il miglioramento.

In conclusione lo studio ha dimostrato che il nostro cervello impara facendo errori che poi corregge affinando il tiro. Progredisce per predizioni via via più accurate grazie all’apprendimento degli errori.

 

Come imparare ad accettare i nostri errori:

Una volta chiarito perché veramente “sbagliando s’impara” proviamo a trasformarlo in uno spunto da applicare per migliorare il nostro quotidiano:

-Consapevolezza dei nostri errori: se riusciamo a mettere da parte l’orgoglio riusciremo anche ad ammettere, almeno a noi stessi, di aver sbagliato. Siamo in un processo, quello dell’apprendimento, che va in progressione un errore alla volta. Accettare la possibilità di sbagliare significa quindi accettare la possibilità di migliorare, senza farsi trascinare nella gara all’ostentazione di vite perfette nella quale siamo trascinati spesso dai social.

-Proteggere l’autostima: slegare l’immagine di noi stessi dagli errori commessi è essenziale per evitare di cadere in pericolosi atteggiamenti rinunciatari di tipo depressivo. La perfezione è per definizione irraggiungibile ciò che è possibile e utile invece, è pensare a possibili soluzioni, lasciando al cervello il lavoro di produrre risultati migliori.

-Autocompassione: si tratta della possibilità di riconoscerci lo status di esseri umani, per natura fallibili, ma imbattibili nell’apprendere dall’esperienza. D’altronde è proprio questo che ha portato la nostra specie in cima alla catena evolutiva.

Se riusciamo a estendere a noi stessi la compassione che useremmo per una persona cara in difficoltà sapremo giudicarci con meno asprezza e concederci quello spazio potenziale così importante per la crescita personale e la soggettivazione (Cahn, 1998; 2010).

-Imparare dagli altri: le persone che fanno parte del nostro mondo sono fonti di apprendimento di cui spesso sottovalutiamo l’importanza. Hanno background e esperienze diverse da cui possiamo imparare elementi utili per migliorare noi stessi. Per farlo bisogna porsi in maniera ricettiva verso l’esterno coltivando la curiosità verso l’altro e non solo il nostro ego.

Lo studio in gruppo, il lavoro in team possono esserne ottimi esempi: se c’è apertura e condivisione si progredisce tutti più velocemente. Se si da spazio alla competitività invece diventa una battaglia a chi vuole risaltare e il progresso rallenta o si blocca.

 

 

Se non ce la faccio a superare i miei errori?

Imparare ad accettare di essere fallibili, di poter commettere errori, è la base per avere una visione più equa di noi stessi e per imparare e migliorare più velocemente.

Il perfezionismo e la competizione strenua ci allontanano proprio da quell’ideale stesso che ci promettono. Si può migliorare anche essendo competitivi o perfezionisti, ma spesso al costo del nostro benessere psichico e della qualità del rapporto con il nostro ambiente.

Se ti rendi conto di non riuscire a farne a meno, ma vorresti trovare il modo di approcciarti alla vita in maniera più serena potrebbe essere il momento di chiedere aiuto a un professionista specializzato. un percorso psicoterapeutico ci aiuterà a trovare le ragioni per cui non riusciamo a farci carico dei nostri errori in maniera evolutiva. così da poter riprendere a progredire nel nostro percorso di soggettivazione (Cahn, 1998; 2010).

 

Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma e San Giovanni Rotondo (FG)

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Bibliografia e sitografia dell’articolo “La chiave del “successo”: accettare i nostri errori.”:

Cahn R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma, Borla, 2000.

Cahn R. Una terza topica per l’adolescente? pubblicato in AeP Adolescenza e psicoanalisi. anno V, n. 1, pp.19-35,  Roma, Magi, 2010.

Di Gioacchino A. et al., (2017) Dal Sé al selfie – Identità e relazioni nell’era del virtuale, in: AeP Adolescenza e Psicoanalisi Anno XI N.1.

Shadmehr, M.A. Smith, and J.W. Krakauer (2010), Error Correction, Sensory Prediction, and Adaptation in Motor Control. Department of Biomedical Engineering, Johns Hopkins School of Medicine, Baltimore, Maryland 212

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