Le nostre zone di comfort condizionano il modo in cui orientiamo le nostre scelte.
Questo avviene in maniera molto più capillare di quanto non si pensi. A volte si tratta di cose di cui ci rendiamo conto, spesso invece di ciò che ci sfugge eppure orienta le nostre scelte.
Tutto ciò che sentiamo essere familiare, conosciuto o simile a noi ci da un senso di istintiva fiducia. Si tratta di un istinto arcaico che ha permesso ai primi uomini di sopravvivere aggregandosi in gruppi.
Molto meno di quanto ci aspetteremmo è cambiato da allora.
Anche adesso ciò che percepiamo come diverso da noi ci inquieta ispirando diffidenza. Si pensi anche soltanto al rapporto improntato alla sfiducia e al sospetto che si può riscontrare tra abitanti di paesi confinanti.
Situazione alquanto paradossale se ci si ferma a pensare che da un punto di vista etnico e storiografico spesso sono in realtà la stessa gente. Eppure astio, rivalità e diffidenza sopravvivono ai secoli e al progresso.
Una volta notato ciò non c’è da stupirsi se quando arriva qualcosa o qualcuno da lontano con la sua carica di ignoto ci possiamo sentire minacciati. Si tratta di un meccanismo difensivo legato all’ansia e all’istinto di auto-conservazione. Entrambi elementi che dobbiamo saper riconoscere e utilizzare a nostro vantaggio.
Lasciarsi dominare da essi porta ad una paura verso tutto ciò che viene percepito come diverso poiché viene categorizzato dalla nostra mente come pericoloso, una minaccia al mantenimento della nostra routine (link articolo ansia e routine) intesa come status quo.
Questo atteggiamento presta il fianco al lato limitante dell’ansia che ci impedisce di scorgere il potenziale che il contatto con ciò che è diverso da noi ci porta.
Ovvero la possibilità di arricchirci di nuove conoscenze e di conoscerci meglio, vedendoci ritratti in tutte le differenze che possiamo avere con l’altro da sé.
Articolo a cura del Dott. Ariele Di Gioacchino – Psicologo e Psicoterapeuta a Roma
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